E bravo Mirko. Oltre ad avermi dato la giusta
imbeccata per un nuovo articolo, il nostro Canarino
Nero dimostra di conoscere davvero quello sport meraviglioso che è il
calcio. In special modo il calcio di casa nostra e la sua ricca storia. Hai
ragione, Mirko, nel 1953 Nereo Rocco, chiamato a risollevare le sorti di un
Padova in grave crisi di risultati, fu allenatore e padre putativo di un
giovane meridionale, appena giunto nella provincia veneta in cerca di gloria
calcistica. Il suo nome era appunto Pasquale M. Crotonese di nascita, ma
trasferitosi a Platì all’età di 5 anni, Pasquale muove i primi passi nella
squadra locale, l’AS Picciotteria. Soprannominato “Minotauro”, per l’imponente
testone e la furia con cui colpisce i malcapitati avversari che osano dribblarlo.
Soprattutto è molto geloso della sorella e non passa giorno in cui non colpisca
quasi a morte i pretendenti che le ronzano intorno. Il ragazzo cresce a vista
d’occhio, il cranio è ormai quello di un adulto, la mascella poi è roba da
museo. La scuola invece non procede esattamente a gonfie vele: il cervello,
spiazzato dalla quantità di spazio disponibile, comincia a soffrire di
agorafobia e si rifugia in uno spazio molto ristretto, evitando accuratamente
ogni contatto con il mondo esterno, specialmente quello scolastico. L’effetto è
estremamente singolare: Pasquale sviluppa una strana concezione teologica,
qualcosa di inedito nel campo della religiosità. Una concezione biteista della
religione che vede al di sopra di tutto, due entità: Dio e la Madonna. Ma,
forse per il background in cui cresce, accostati al mondo animale. Una visione
molto concreta che secondo alcuni studiosi, sfocerebbe addirittura nel
sacrilego ed eretico: non è raro infatti sentirlo esclamare, ma sarebbe più
giusto invocare, un “Dio Cane” o un “Porco Dio”. Quelle che potrebbero apparire
come bestemmie, sono invece testimonianze, residui dell’infanzia trascorsa
nell’aia del cascinale di famiglia.
Pasquale va malissimo in grammatica ma eccelle
in matematica. Di lui si ricordano temi intitolati “La gente al loro paese
faceva gli operai” o “Il padre era una fonte dove mangiare”, ma anche la
scoperta del cosiddetto teorema di Trabbucco, in cui Pasquale dimostra con
complicate operazioni matematiche che risulta impossibile farsi fottere tenendo
il contante in una mano e il giocatore dall’altra.
A 16 anni è pronto per il salto nel mondo del
professionismo. Particolarmente adatto al cosiddetto “catenaccio”, uno schema
che si sta affermando proprio in quegli anni grazie all’intuizione di un certo
Nereo Rocco, Pasquale è di fronte ad un bivio: rimanere al sud e quindi puntare
sul Palermo, unica squadra del mezzogiorno nella Serie A del 1953/54 o
trasferirsi nell’industrioso nord, dove i club blasonati abbondano e sono
pronti a sborsare cifre folli per marcatori come lui? Non senza qualche Dio
Cane, Pasquale opta per la seconda ipotesi. Raduna la sua roba (un’enorme
coppola, la calcolatrice e qualche mocassino) e tiene un commovente discorso
alle persone che si radunano nella piazzetta di Platì per salutarlo:
“Sicuramente sono stato bene eccetera. Penzo che poi il succo del discorso sta
poi qua, nel senso che debbo antare al nord a cercare, voglio dirvi, di fare
fortuna. Mi raccomandi, non toccate mia sorella perché Giga Madonna quando
torno, voglio dirvi, ho delle certezze quasi sicure di spararvi”.
Approda così al Milan, ma dopo un alterco con
l’addetto al terreno di gioco (Pasquale insisteva per giocare su un campo in
“sintietichi”), viene spedito in prestito al Padova, in serie B, in un momento
molto delicato. Nonostante giocatori d’indubbio valore, i veneti rischiano
addirittura di retrocedere. Pasquale è inquieto. In una lettera alla mamma
scrive: “Abbiamo stati sconfitti anche domenica, questi stronzi non pacano più,
questo mese non ti mando un gazzo”.
La storia, cari signori, è in equilibrio su un
filo molto sottile. Tra la caduta e la risalita c’è un uomo. Il suo nome è
Nereo Rocco. Da wikipedia: “Rocco non rimase però disoccupato a lungo: fu
infatti chiamato a salvare un malcapitato Padova, relegato nei bassi fondi
della cadetteria, pur avendo in rosa giocatori di categoria. Dopo una salvezza
insperata, Nereo Rocco preparò il suo Padova per il grande salto in serie A,
che avvenne nella stagione successiva”. Le tessere del puzzle ritornarono,
lentamente, al proprio posto. La stagione era salva e si profilava addirittura
un ritorno nella massima serie. Pasquale scriveva entusiasta: “Mamma, dio cane,
qui antiamo in Serie A! Qui faccio i soldi, dicci a zia di mandarmi su il
cuginetto Antonio, che lo piazzo in qualche squadra e ci mangio sopra tenendomi
i rimborsi. Questo non dirlo a zia né ha Antonio”.
Il rapporto con il burbero Rocco è da subito
idilliaco: lo stratega stravede per Pasquale, sempre pronto a mordere le
caviglie degli avversari, manco fossero costine da spolpare. I tifosi
impazziscono per la “belva coi mocassini”, com’era stato soprannominato dalla
stampa. Nella sessione acquisti estiva Rocco fece acquistare Blason, già con
lui nella Triestina che si piazzò seconda, Moro, Azzini e proprio M.,
riscattato dal Milan e destinato a diventare uno dei suoi fedelissimi. Nella
stagione 57/58 il Padova si classifica terzo e negli anni successivi continua a
piazzarsi nelle zone medio-alte della graduatoria. Il rapporto con el paròn
è sempre più stretto: non sono rari i casi in cui Pasquale viene invitato a
casa Rocco per pranzi e cene in cui il mastino calabro dà il meglio di se,
svuotando la dispensa. Dopo 4 anni arriva il primo gol in serie A: di testa, da
metà campo. Uno dei primi cronisti dell’epoca lo incontra negli spogliatoi per
raccoglierne le emozioni: “Il gol è servito a stemperare tutta questa tensione
eccetera. Certo che potevamo anche vincere se Blasoni avrebbe segnato quel gol, dio cane…Poi,
macari, neanche se facevamo quel gol, non è facile voglio dirti”. Sollecitato
poi sulla carica eccezionale dei tifosi padovani:
-
“Beh giocare qui al Silvio Appiano è incredibile voglio dirti. Parti
col dito avvelenato, sempre e chi viene qua ci spacchiamo il culo”.
-
“Appiani. Forse intendevi dire
Appiani”.
-
“Appiano. Silvio Appiano”.
-
“Il nome è Silvio Appiani,
militare, attaccante e allenatore, goleador del Padova di inizio secolo. Magari
informarsi…”.
Pasquale non rispose. A parole. Ma ci tenne a spiegare le sue ragioni.
Coi fatti. Sparò infatti al cronista, a bruciapelo, in Piazza dei Signori, di
fronte a una folla brulicante. Un brillante carriera fu così interrotta. Prese
5 turni dal giudice sportivo e 20 anni dal processo penale. Nereo Rocco ci
rimase così male che una volta decise persino di rinunciare ai 9 difensori che
utilizzava di solito.
Uscito di prigione, nel 1979, Pasquale era un uomo diverso. Molto più
spietato. Si trasferì dalle nostre parti e cominciò un’intorcinata attività di
compravendita di giovani giocatori che gli ha permesso di comprarsi il bmw, il
sogno di una vita e un abbigliamento fatto di accostamenti spumeggianti, al
limite della percezione dell’occhio umano. S’è fatto un nome, potremmo dire.
Non è raro sentirlo incitare la propria squadra (e ne ha parecchie), in qualche
campetto di provincia: “Vai, dio bastiani!”. Ha pagato il suo debito con la
società. E’ la società, o meglio le società, a dovergli ancora un bel po’ di
soldi.
Da allenatore Nereo Rocco è passato alla storia del calcio come colui
che introdusse in Italia il catenaccio. Da calciatore prima e da direttore
sportivo poi, Pasquale M. è passato alla storia come colui che introdusse in
Italia nuove bestemmie e la tratta dei giovani calciatori del sud. Un pioniere.
Col mocassino. Una leggenda. Macari no.
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