mercoledì 2 maggio 2012

Padova, terra di leggende...




E bravo Mirko. Oltre ad avermi dato la giusta imbeccata per un nuovo articolo, il nostro Canarino Nero dimostra di conoscere davvero quello sport meraviglioso che è il calcio. In special modo il calcio di casa nostra e la sua ricca storia. Hai ragione, Mirko, nel 1953 Nereo Rocco, chiamato a risollevare le sorti di un Padova in grave crisi di risultati, fu allenatore e padre putativo di un giovane meridionale, appena giunto nella provincia veneta in cerca di gloria calcistica. Il suo nome era appunto Pasquale M. Crotonese di nascita, ma trasferitosi a Platì all’età di 5 anni, Pasquale muove i primi passi nella squadra locale, l’AS Picciotteria. Soprannominato “Minotauro”, per l’imponente testone e la furia con cui colpisce i malcapitati avversari che osano dribblarlo. Soprattutto è molto geloso della sorella e non passa giorno in cui non colpisca quasi a morte i pretendenti che le ronzano intorno. Il ragazzo cresce a vista d’occhio, il cranio è ormai quello di un adulto, la mascella poi è roba da museo. La scuola invece non procede esattamente a gonfie vele: il cervello, spiazzato dalla quantità di spazio disponibile, comincia a soffrire di agorafobia e si rifugia in uno spazio molto ristretto, evitando accuratamente ogni contatto con il mondo esterno, specialmente quello scolastico. L’effetto è estremamente singolare: Pasquale sviluppa una strana concezione teologica, qualcosa di inedito nel campo della religiosità. Una concezione biteista della religione che vede al di sopra di tutto, due entità: Dio e la Madonna. Ma, forse per il background in cui cresce, accostati al mondo animale. Una visione molto concreta che secondo alcuni studiosi, sfocerebbe addirittura nel sacrilego ed eretico: non è raro infatti sentirlo esclamare, ma sarebbe più giusto invocare, un “Dio Cane” o un “Porco Dio”. Quelle che potrebbero apparire come bestemmie, sono invece testimonianze, residui dell’infanzia trascorsa nell’aia del cascinale di famiglia.
Pasquale va malissimo in grammatica ma eccelle in matematica. Di lui si ricordano temi intitolati “La gente al loro paese faceva gli operai” o “Il padre era una fonte dove mangiare”, ma anche la scoperta del cosiddetto teorema di Trabbucco, in cui Pasquale dimostra con complicate operazioni matematiche che risulta impossibile farsi fottere tenendo il contante in una mano e il giocatore dall’altra.
A 16 anni è pronto per il salto nel mondo del professionismo. Particolarmente adatto al cosiddetto “catenaccio”, uno schema che si sta affermando proprio in quegli anni grazie all’intuizione di un certo Nereo Rocco, Pasquale è di fronte ad un bivio: rimanere al sud e quindi puntare sul Palermo, unica squadra del mezzogiorno nella Serie A del 1953/54 o trasferirsi nell’industrioso nord, dove i club blasonati abbondano e sono pronti a sborsare cifre folli per marcatori come lui? Non senza qualche Dio Cane, Pasquale opta per la seconda ipotesi. Raduna la sua roba (un’enorme coppola, la calcolatrice e qualche mocassino) e tiene un commovente discorso alle persone che si radunano nella piazzetta di Platì per salutarlo: “Sicuramente sono stato bene eccetera. Penzo che poi il succo del discorso sta poi qua, nel senso che debbo antare al nord a cercare, voglio dirvi, di fare fortuna. Mi raccomandi, non toccate mia sorella perché Giga Madonna quando torno, voglio dirvi, ho delle certezze quasi sicure di spararvi”.
Approda così al Milan, ma dopo un alterco con l’addetto al terreno di gioco (Pasquale insisteva per giocare su un campo in “sintietichi”), viene spedito in prestito al Padova, in serie B, in un momento molto delicato. Nonostante giocatori d’indubbio valore, i veneti rischiano addirittura di retrocedere. Pasquale è inquieto. In una lettera alla mamma scrive: “Abbiamo stati sconfitti anche domenica, questi stronzi non pacano più, questo mese non ti mando un gazzo”.
La storia, cari signori, è in equilibrio su un filo molto sottile. Tra la caduta e la risalita c’è un uomo. Il suo nome è Nereo Rocco. Da wikipedia: “Rocco non rimase però disoccupato a lungo: fu infatti chiamato a salvare un malcapitato Padova, relegato nei bassi fondi della cadetteria, pur avendo in rosa giocatori di categoria. Dopo una salvezza insperata, Nereo Rocco preparò il suo Padova per il grande salto in serie A, che avvenne nella stagione successiva”. Le tessere del puzzle ritornarono, lentamente, al proprio posto. La stagione era salva e si profilava addirittura un ritorno nella massima serie. Pasquale scriveva entusiasta: “Mamma, dio cane, qui antiamo in Serie A! Qui faccio i soldi, dicci a zia di mandarmi su il cuginetto Antonio, che lo piazzo in qualche squadra e ci mangio sopra tenendomi i rimborsi. Questo non dirlo a zia né ha Antonio”.
Il rapporto con il burbero Rocco è da subito idilliaco: lo stratega stravede per Pasquale, sempre pronto a mordere le caviglie degli avversari, manco fossero costine da spolpare. I tifosi impazziscono per la “belva coi mocassini”, com’era stato soprannominato dalla stampa. Nella sessione acquisti estiva Rocco fece acquistare Blason, già con lui nella Triestina che si piazzò seconda, Moro, Azzini e proprio M., riscattato dal Milan e destinato a diventare uno dei suoi fedelissimi. Nella stagione 57/58 il Padova si classifica terzo e negli anni successivi continua a piazzarsi nelle zone medio-alte della graduatoria. Il rapporto con el paròn è sempre più stretto: non sono rari i casi in cui Pasquale viene invitato a casa Rocco per pranzi e cene in cui il mastino calabro dà il meglio di se, svuotando la dispensa. Dopo 4 anni arriva il primo gol in serie A: di testa, da metà campo. Uno dei primi cronisti dell’epoca lo incontra negli spogliatoi per raccoglierne le emozioni: “Il gol è servito a stemperare tutta questa tensione eccetera. Certo che potevamo anche vincere se Blasoni avrebbe segnato quel gol, dio cane…Poi, macari, neanche se facevamo quel gol, non è facile voglio dirti”. Sollecitato poi sulla carica eccezionale dei tifosi padovani:
-         “Beh giocare qui al Silvio Appiano è incredibile voglio dirti. Parti col dito avvelenato, sempre e chi viene qua ci spacchiamo il culo”.
-         Appiani. Forse intendevi dire Appiani”.
-         Appiano. Silvio Appiano”.
-         “Il nome è Silvio Appiani, militare, attaccante e allenatore, goleador del Padova di inizio secolo. Magari informarsi…”.
Pasquale non rispose. A parole. Ma ci tenne a spiegare le sue ragioni. Coi fatti. Sparò infatti al cronista, a bruciapelo, in Piazza dei Signori, di fronte a una folla brulicante. Un brillante carriera fu così interrotta. Prese 5 turni dal giudice sportivo e 20 anni dal processo penale. Nereo Rocco ci rimase così male che una volta decise persino di rinunciare ai 9 difensori che utilizzava di solito.
Uscito di prigione, nel 1979, Pasquale era un uomo diverso. Molto più spietato. Si trasferì dalle nostre parti e cominciò un’intorcinata attività di compravendita di giovani giocatori che gli ha permesso di comprarsi il bmw, il sogno di una vita e un abbigliamento fatto di accostamenti spumeggianti, al limite della percezione dell’occhio umano. S’è fatto un nome, potremmo dire. Non è raro sentirlo incitare la propria squadra (e ne ha parecchie), in qualche campetto di provincia: “Vai, dio bastiani!”. Ha pagato il suo debito con la società. E’ la società, o meglio le società, a dovergli ancora un bel po’ di soldi.
Da allenatore Nereo Rocco è passato alla storia del calcio come colui che introdusse in Italia il catenaccio. Da calciatore prima e da direttore sportivo poi, Pasquale M. è passato alla storia come colui che introdusse in Italia nuove bestemmie e la tratta dei giovani calciatori del sud. Un pioniere. Col mocassino. Una leggenda. Macari no.

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