giovedì 17 maggio 2012

PADOVA - Il primo Giorno

Le pagelle le ha fatte Luca. La frase del weekend l’ha scritta Fabio. I video li ha girati Di Lembo Junior. Spiegatemi allora che ci sto a fare io. Ah si, adesso ricordo. Avevo promesso un articolo, un pezzo che riassumesse la tre giorni veneta, trionfante quanto esilarante. E formativa. Non tanto per noi vecchietti, quanto per le squadre che hanno provato a mettersi di traverso tra il Taurinia e il titolo di campioni del centro nord. Aspetta che lo ripeto, per i più distratti: regolamento (ce n’era uno?) assurdo a parte, siamo i campioni Acli 2012 per il Centro Nord. Alla faccia del bicarbonato di sodio, direbbe Totò. E la battuta cade a fagiolo perché la prossima tappa sarà proprio Napoli. Al futuro ci penseremo poi. Per adesso voltiamo leggermente la testa all’indietro e diamo un’occhiata a quello che abbiamo realizzato giusto qualche giorno fa.

Un torrido venerdì di maggio
La strada pareva un miraggio.
Per Padova siamo partiti
Milano e la coda ci hanno inghiottiti.
Fuori caldo, diesel e gpl,
Dentro cerchiam calciatori con la “elle”.
Anonimo piemontese


Un viaggio lunghissimo. Si parte con qualche minuto di ritardo, ma il nostro destino è già segnato: a Milano infatti non si passa. La coda coinvolge persino la corsia del telepass. Ma anche questo è un buon modo per familiarizzare e –direbbe Saint Exupery – “addomesticarsi”, creare dei legami. Quale veicolo universale se non il calcio? Max Trombini è il campione: sforna nomi di calciatori che iniziano per tutte le lettere dell’alfabeto come se fosse la cosa più facile del mondo. Pensandoci, fa la stessa cosa con i piedi: quando la palla sembra indomabile per noi comuni mortali, lui la mette giù e lei rimane lì, mansueta. Fuoriclasse dentro e fuori dal campo. Probabilmente solo Cristian potrebbe competere con il mostruoso fratello, ma il cellulare gli confonde i pensieri e da buon fratello maggiore, lascia la scena al minore. Beh poi c’è Andrea Merlo, il Robin Hood degli Autogrill, ma soprattutto il miglior menestrello possibile. Vale la pena di riportare almeno due delle storielle che hanno intrattenuto la platea di fondo. Scena: ingresso di una discoteca in alta quota. Un freddo cane e i ragazzi in questione aspettano da mezz’ora di entrare. A un certo punto, uno di loro (Andre, of course) ha un’idea geniale: guarda i suoi amici e nota che sono tutti piuttosto dotati, lui compreso, di un naso decisamente importante. Ed ecco l’intuizione. Si fa largo in mezzo alla folla, dicendo: “Fate passare, fate passare, siamo dei Nas!”. Risate generali tra gli avventori della discoteca e anche tra i passeggeri in coda alla barriera di Milano.

Poi: un personaggio che chiameremo A (che altri non è quel genio di Andrea) vuole farsi beffe di un personaggio che chiameremo B (anch’egli presente nella trasferta padovana e le cui iniziali sono FC). Avete presente la spettacolare pubblicità della Tim che aveva per protagonista, tra gli altri, Gandhi? Benissimo. Allora A dice a B: “Ma quanti soldi avrà preso Gandhi per fare una pubblicità del genere?”. B: “Ma non saprei…almeno 500.000 euro!”. Interviene C (amico in comune di A e B), che fa: “Ma stai scherzando?!”. A è quasi contento, finalmente una persona con un po’ di acume. Ma C rovina tutto: “Ma ne avrà presi almeno il doppio!”.
Le soste all’autogrill ci regalano parecchie confezioni di gommose e anche qualche discreta figa di passaggio. Quando si riparte è Ametrano a catturare la nostra attenzione: canotta bianca, baule aperto su un mondo fatto di tavoli e sedie pieghevoli, scatolame, cibi sott’olio, coperte, tovaglie. Risale in macchina e lascia il baule aperto, mentre il passeggero, chissà perché, ride con noi che ridiamo di loro.
Alle 22,30 siamo già a Padova. Siamo stremati dal viaggio e parecchio affamati. E la pasta fredda con qualche affettato non è il massimo della vita. Un pasto che manda su tutte le furie uno notoriamente poco incline al borbottìo come Maurizio “Taulin” Schiavello: in 25 gli chiedono perché non avesse toccato cibo (qualcuno ha fatto il bis, domandoglielo 2 o 3 volte), lui risponde che non mangia gli insaccati, mostra una certa insofferenza e si siede da solo, in evidente segno di protesta. Chiede del prosciutto crudo, glielo affettano, ma prima che possa anche solo sentirne il profumo, una mandria di gnu lo travolge, ignorando le sue rimostranze. Serata decisamente sfortunata, avrà modo di rifarsi sul campo la mattina e il pomeriggio seguenti.
Gli atleti scelgono di andare a fare un giretto, alla scoperta di Abano. Di fronte al proprio hotel, ce n’è uno dal nome curioso: Vena d’Oro. Da approfondite indagini si scopre che Max ha una stanza - offerta dalla direzione – disponibile in qualsiasi momento. La fama lo precede.
Sulla sinistra invece c’è un pittoresco albergo color rosa shocking, un pugno in pieno viso, che pare uscito da una puntata di Miami Vice. Poco più avanti il Mint Lounge, che fa molto Las Vegas e che annovera qualche tacco da vertigine e parecchio materiale su cui mettere le mani. A un certo punto si avvicina Puyol e parte solo il primo di una lunga serie di “Che hai oh?!” di bomber Tassone. Si cerca disperatamente una gelateria. Si trova ed è gestita da un napoletano doc. Solo il primo di una lunga serie di segni.
Finalmente è ora di andare a nanna. Piccole scaramucce per l’assegnazione delle camere. Qualcuno si dirige infuriato verso la 206 ed esclama: “Adesso mi dovete spiegare perché devo dormire con il Russatore Folle!”. Glielo spiegano ma rimane sulle sue posizioni e va a dormire di umore decisamente Nero. Il destino però gli ha riservato un trattamento speciale. Ciò che purtroppo non si può dire del suo compagno di stanza, immune a spray e cerotti specifici.
Calano le tenebre, il caldo non accenna a diminuire. Cosa passa nei sogni dei ragazzi del Taurinia? I Ringo di straforo, le gambe della bionda signora riccia, un direttore sportivo amico dei bambini e dei cani, “F-F-F…Frezzolini!”, Ametrano, “Ma quindi meno di 500.000 euro?”, Autogrillo… “Che hai oh?!”.
“Guardano” cose diverse, ma nei loro cuori c’è un’unica grande speranza: avere il numero della signora bionda. Ah, e vincere la coppa, ovvio.

mercoledì 2 maggio 2012

Padova, terra di leggende...




E bravo Mirko. Oltre ad avermi dato la giusta imbeccata per un nuovo articolo, il nostro Canarino Nero dimostra di conoscere davvero quello sport meraviglioso che è il calcio. In special modo il calcio di casa nostra e la sua ricca storia. Hai ragione, Mirko, nel 1953 Nereo Rocco, chiamato a risollevare le sorti di un Padova in grave crisi di risultati, fu allenatore e padre putativo di un giovane meridionale, appena giunto nella provincia veneta in cerca di gloria calcistica. Il suo nome era appunto Pasquale M. Crotonese di nascita, ma trasferitosi a Platì all’età di 5 anni, Pasquale muove i primi passi nella squadra locale, l’AS Picciotteria. Soprannominato “Minotauro”, per l’imponente testone e la furia con cui colpisce i malcapitati avversari che osano dribblarlo. Soprattutto è molto geloso della sorella e non passa giorno in cui non colpisca quasi a morte i pretendenti che le ronzano intorno. Il ragazzo cresce a vista d’occhio, il cranio è ormai quello di un adulto, la mascella poi è roba da museo. La scuola invece non procede esattamente a gonfie vele: il cervello, spiazzato dalla quantità di spazio disponibile, comincia a soffrire di agorafobia e si rifugia in uno spazio molto ristretto, evitando accuratamente ogni contatto con il mondo esterno, specialmente quello scolastico. L’effetto è estremamente singolare: Pasquale sviluppa una strana concezione teologica, qualcosa di inedito nel campo della religiosità. Una concezione biteista della religione che vede al di sopra di tutto, due entità: Dio e la Madonna. Ma, forse per il background in cui cresce, accostati al mondo animale. Una visione molto concreta che secondo alcuni studiosi, sfocerebbe addirittura nel sacrilego ed eretico: non è raro infatti sentirlo esclamare, ma sarebbe più giusto invocare, un “Dio Cane” o un “Porco Dio”. Quelle che potrebbero apparire come bestemmie, sono invece testimonianze, residui dell’infanzia trascorsa nell’aia del cascinale di famiglia.
Pasquale va malissimo in grammatica ma eccelle in matematica. Di lui si ricordano temi intitolati “La gente al loro paese faceva gli operai” o “Il padre era una fonte dove mangiare”, ma anche la scoperta del cosiddetto teorema di Trabbucco, in cui Pasquale dimostra con complicate operazioni matematiche che risulta impossibile farsi fottere tenendo il contante in una mano e il giocatore dall’altra.
A 16 anni è pronto per il salto nel mondo del professionismo. Particolarmente adatto al cosiddetto “catenaccio”, uno schema che si sta affermando proprio in quegli anni grazie all’intuizione di un certo Nereo Rocco, Pasquale è di fronte ad un bivio: rimanere al sud e quindi puntare sul Palermo, unica squadra del mezzogiorno nella Serie A del 1953/54 o trasferirsi nell’industrioso nord, dove i club blasonati abbondano e sono pronti a sborsare cifre folli per marcatori come lui? Non senza qualche Dio Cane, Pasquale opta per la seconda ipotesi. Raduna la sua roba (un’enorme coppola, la calcolatrice e qualche mocassino) e tiene un commovente discorso alle persone che si radunano nella piazzetta di Platì per salutarlo: “Sicuramente sono stato bene eccetera. Penzo che poi il succo del discorso sta poi qua, nel senso che debbo antare al nord a cercare, voglio dirvi, di fare fortuna. Mi raccomandi, non toccate mia sorella perché Giga Madonna quando torno, voglio dirvi, ho delle certezze quasi sicure di spararvi”.
Approda così al Milan, ma dopo un alterco con l’addetto al terreno di gioco (Pasquale insisteva per giocare su un campo in “sintietichi”), viene spedito in prestito al Padova, in serie B, in un momento molto delicato. Nonostante giocatori d’indubbio valore, i veneti rischiano addirittura di retrocedere. Pasquale è inquieto. In una lettera alla mamma scrive: “Abbiamo stati sconfitti anche domenica, questi stronzi non pacano più, questo mese non ti mando un gazzo”.
La storia, cari signori, è in equilibrio su un filo molto sottile. Tra la caduta e la risalita c’è un uomo. Il suo nome è Nereo Rocco. Da wikipedia: “Rocco non rimase però disoccupato a lungo: fu infatti chiamato a salvare un malcapitato Padova, relegato nei bassi fondi della cadetteria, pur avendo in rosa giocatori di categoria. Dopo una salvezza insperata, Nereo Rocco preparò il suo Padova per il grande salto in serie A, che avvenne nella stagione successiva”. Le tessere del puzzle ritornarono, lentamente, al proprio posto. La stagione era salva e si profilava addirittura un ritorno nella massima serie. Pasquale scriveva entusiasta: “Mamma, dio cane, qui antiamo in Serie A! Qui faccio i soldi, dicci a zia di mandarmi su il cuginetto Antonio, che lo piazzo in qualche squadra e ci mangio sopra tenendomi i rimborsi. Questo non dirlo a zia né ha Antonio”.
Il rapporto con il burbero Rocco è da subito idilliaco: lo stratega stravede per Pasquale, sempre pronto a mordere le caviglie degli avversari, manco fossero costine da spolpare. I tifosi impazziscono per la “belva coi mocassini”, com’era stato soprannominato dalla stampa. Nella sessione acquisti estiva Rocco fece acquistare Blason, già con lui nella Triestina che si piazzò seconda, Moro, Azzini e proprio M., riscattato dal Milan e destinato a diventare uno dei suoi fedelissimi. Nella stagione 57/58 il Padova si classifica terzo e negli anni successivi continua a piazzarsi nelle zone medio-alte della graduatoria. Il rapporto con el paròn è sempre più stretto: non sono rari i casi in cui Pasquale viene invitato a casa Rocco per pranzi e cene in cui il mastino calabro dà il meglio di se, svuotando la dispensa. Dopo 4 anni arriva il primo gol in serie A: di testa, da metà campo. Uno dei primi cronisti dell’epoca lo incontra negli spogliatoi per raccoglierne le emozioni: “Il gol è servito a stemperare tutta questa tensione eccetera. Certo che potevamo anche vincere se Blasoni avrebbe segnato quel gol, dio cane…Poi, macari, neanche se facevamo quel gol, non è facile voglio dirti”. Sollecitato poi sulla carica eccezionale dei tifosi padovani:
-         “Beh giocare qui al Silvio Appiano è incredibile voglio dirti. Parti col dito avvelenato, sempre e chi viene qua ci spacchiamo il culo”.
-         Appiani. Forse intendevi dire Appiani”.
-         Appiano. Silvio Appiano”.
-         “Il nome è Silvio Appiani, militare, attaccante e allenatore, goleador del Padova di inizio secolo. Magari informarsi…”.
Pasquale non rispose. A parole. Ma ci tenne a spiegare le sue ragioni. Coi fatti. Sparò infatti al cronista, a bruciapelo, in Piazza dei Signori, di fronte a una folla brulicante. Un brillante carriera fu così interrotta. Prese 5 turni dal giudice sportivo e 20 anni dal processo penale. Nereo Rocco ci rimase così male che una volta decise persino di rinunciare ai 9 difensori che utilizzava di solito.
Uscito di prigione, nel 1979, Pasquale era un uomo diverso. Molto più spietato. Si trasferì dalle nostre parti e cominciò un’intorcinata attività di compravendita di giovani giocatori che gli ha permesso di comprarsi il bmw, il sogno di una vita e un abbigliamento fatto di accostamenti spumeggianti, al limite della percezione dell’occhio umano. S’è fatto un nome, potremmo dire. Non è raro sentirlo incitare la propria squadra (e ne ha parecchie), in qualche campetto di provincia: “Vai, dio bastiani!”. Ha pagato il suo debito con la società. E’ la società, o meglio le società, a dovergli ancora un bel po’ di soldi.
Da allenatore Nereo Rocco è passato alla storia del calcio come colui che introdusse in Italia il catenaccio. Da calciatore prima e da direttore sportivo poi, Pasquale M. è passato alla storia come colui che introdusse in Italia nuove bestemmie e la tratta dei giovani calciatori del sud. Un pioniere. Col mocassino. Una leggenda. Macari no.