giovedì 27 ottobre 2011

L'importanza di chiamarsi ... Taurinia

È scientificamente dimostrato che chiamarsi Taurinia porta bene. Fortuna.
O culo. Come preferite.
Nel 1946 una simpatica vecchietta di nome Taurinia Ferrero vinse il primo premio della prima Lotteria Italia: il paese si stava lentamente rialzando dal devastante conflitto mondiale e il referendum che decretò l’avvento della repubblica aveva pesantemente intaccato il patrimonio statale.
La vincita perciò fu di sole 50 lire. Ma la signora Taurinia apparve raggiante: si disse “commossa” e “infinitamente emozionata. Dedico queste 50 lire a mia mamma e a mio papà. Perché hanno avuto il coraggio di mettermi questo nome. Il nome di mia nonna, De Simone Taurinia: nata il 13 gennaio 1813, in una piccola mangiatoia a Borgo San Dalmazzo.
Scivolò dalle mani di chi l’aveva tirata fuori per cadere, dolcemente, sulla soma dell’asinello che l’aveva tenuta in caldo tutta notte.
Crebbe bella e forte, uccidendo gatti neri ed evitando accuratamente scale e ponteggi, trattando gli specchi di casa come figli. Conobbe Cino e se ne innamorò follemente: si sposarono ed ebbero 13 pargoli.
Insieme aprirono e condussero una piccola attività, un vivaio di quadrifogli poco lontano, a Mondovì. Cino amava il vino e le belle donne: non erano rare le notti in cui tornava a casa ubriaco e sessualmente soddisfatto e per un capriccio, un deplorevole istinto, sfogava la sua rabbia sulla povera e incolpevole Taurinia. Ma la buona stella di mia nonna vigilava, sempre.
Nella stanza da letto accanto, dormiva sua sorella gemella, Proasma De Simone, identica, tale e quale a lei: Cino, regolarmente su di giri, sbagliava sistematicamente porta, infilandosi nella stanza di Proasma e percuotendola di santa ragione. Proasma comunque accettava con cristiana rassegnazione quello scambio di persona, ma il fisico esile non le permise di superare i due anni di maltrattamenti.
Mia nonna fiutò la vera indole del marito e organizzò una terribile vendetta. Un giorno prese Cino da parte e le disse: “Ha chiamato un cliente di Cuneo. Ha bisogno di diciassette piante di quadrifogli entro le 17 di oggi. Abita in Piazza Galimberti, al 17. Sbrigati, sono già le 16 e 17! Ah, quasi dimenticavo, è un tipo che ama i complimenti: se dovesse inventare qualche scusa per non pagare, tu digli ‘Ma lo sa che lei assomiglia a Garibaldi? Due gocce d’acqua!’ e lui non si farà pregare”. Tempi bui, quelli.
Oggi, l’unità d’Italia è realtà, siamo una nazione, complessa e multietnica, ma pur sempre un paese unico, forte, unito. Al tempo di mia nonna, quando cominciarono a circolare le prime voci su una possibile unificazione, molta gente da queste parti non voleva sentir parlare di ‘Italia’. Chiamavano Roma ‘ladrona’, le persone che vivevano laggiù ‘teroni’ della peggior specie. “Ma quale Itaglia? Viva il regno di Sardegna, viva i Savoia! Quelli non fanno un cazzo e non pagano le tasse! Abbasso quello con la barba e i suoi quattro mille!”, dicevano.
Casualmente - e fortunatamente – mia nonna aveva conosciuto questo convinto oppositore dell’unità durante una consegna: l’omone rispondeva al nome di Guglielmo Niglio, Willy Nilly per gli amici, barba folta e fisico possente, 100% razza padana, tirchio come uno scozzese. Ma la cosa che più colpì mia nonna fu il quadro che il Niglio esibiva all’ingresso: celebre ritratto(mezzo busto) di Giuseppe Garibaldi che sventola il tricolore, con sotto la scritta - a caratteri cubitali - “La Savoia ai savoiardi. L’Italia ai teroni. Garibaldi e i mille, culattoni”.
Lo avrete intuito, Willy Nilly abitava al 17 di Piazza Galimberti. Per Cino furono attimi. Ci volle più del previsto per identificare il corpo.
Questa è la storia della mia nonnina. Ora devo tornare a casa. Ho alcuni quadrifogli malati. E poi devo preparare i bagagli: ho vinto una crociera negli Stati Uniti, solo un anno di viaggio! Oh, che sbadata, devo anche portare la macchina a Fausto Notari, il figlio di un mio caro amico che ha aperto da poco un’autofficina. Sono sicura che ne sentiremo parlare. Dell’officina intendo.
Ma che stavo dicendo? Non mi sento bene, sarà l’emozione. È come se il cuor si deprima, oddio ma parlo in rima! Un dolore forte, lancinante, lascio tutti i miei averi alla…badante!”. E così morì Taurinia Ferrero, stroncata dalla forza dei ricordi.
La badante, Olimpika Ottawa, ucraina di nascita, fu meno fortunata e decisamente più avventata. L’improvvisa fortuna le diede letteralmente alla testa: cominciò una vita di sperperi inimmaginabili, tra auto di lusso, cene pantagrueliche e perdizioni d’ogni tipo. Cominciò anche ad abusare di droghe e soprattutto alcol: lei, insieme a 5 o 6 elementi della cricca, formavano un gruppetto noto a tutti i locali notturni della città come il “drink team”.
Ma un briciolo di buona sorte le permise, in una delle abituali orge che solitamente chiudevano le nottate, di rimanere incinta. Il parto, unito all’inevitabile degrado fisico, le costò la vita: in punto di morte, dopo aver visto nascere la propria bimba, con l’ultimo flebile fiato comunicò che aveva scelto il nome per la piccola. “…”.
La voce non venne fuori e l’infermiera non sapeva leggere le labbra. Allora, con tutta la forza che le rimaneva in corpo alzò le braccia sulla testa, a mimare le corna del toro e poi spirò.
Rimase in quella posizione. L’infermiera la guardò. La fissò. Cercò di afferrare il significato di quel gesto. Poi finalmente capì. Il nome. Quello che non era uscito dalla bocca della mamma. Strinse al petto la piccola e mormorò: “Benvenuta al mondo, Antenna”.
Recenti studi hanno evidenziato che un consanguineo di Antenna scende in campo ogni lunedì nel campionato Acli. Un’équipe di esperti sta ricostruendo il Dna dell’ultima discendente. Dalle prime analisi, la squadra del “sangue fortunato” è proprio il Taurinia. Tutti alla caccia del Santo Cul.

By OMAR Gattuso

martedì 18 ottobre 2011

Corsi e Ricorsi

Prima del Taurinia 2011, solo due squadre del campionato Acli erano partite con due vittorie e almeno 9 gol segnati.
Nel 1955 il Real Madrid dei vari Puskas, Di Stefano, Gento, Kopa e Santamaria, batté con un sonoro 5 a 1 il Willy Nilly, sul sintetico del Rivermosso. Dopodiché fu la volta del Gio.ne.gio che dovette inchinarsi a una tripletta di Ferenc Puskas e ad un’autorete di un giovane difensore, poi diventato una colonna proprio del Taurinia: un biondissimo Andrea Merlo, per evitare il poker del mitico Ferenc, deviò malamente un cross dalla sinistra di Gento, infilando un incolpevole Sergio Esposito, il quale maledisse la Vergine di Guadalupe.
10 gol fatti, 1 solo subito. Impresa eguagliata solo dal leggendario Ajax del ’72.
Alla prima uscita la squadra di Kovacs, liquidò facilmente, con un perentorio 6 a 0, il Baracca Split, mostrando a tutti la potenza e la bellezza del celebre calcio totale.
Nel turno successivo, a Santa Rita, i fiamminghi dovettero sudare non poco per aver ragione del Drink Team: Crujiff in particolare fu stretto nella morsa di un gruppo di giovani mastini, che bloccarono sul nascere ogni iniziativa di uno dei migliori calciatori ogni epoca.
Si racconta che Johan uscì stremato dal terreno di gioco, dichiarando di “soffrire le marcature strette”.
A metà gara il Drink Team era addirittura avanti di due gol. Nella seconda frazione però, Kovacs ebbe la folgorazione: fuori Keizer, dentro Di Lembo, un esterno tutto pepe, di grande tecnica e dinamismo, ma con la pericolosa tendenza ad “innamorarsi del pallone”.
Probabilmente quell’Etrusco non era proprio il suo tipo, perché il valsusino fece ammattire la difesa avversaria, sfornando due assist al bacio per Neeskens e Kroll e procurandosi il rigore del vantaggio. Penalty che lui stesso s’incaricò di trasformare, dopo una concitata discussione con Crujiff: un episodio che cambiò il corso degli eventi e che di fatto sancì la fine di una grande amicizia.
Recentemente intervistato dal programma “Uitdagings” (il nostro “Sfide”), in una puntata sulla storica tripletta del ’72 (Campionato Acli, Coppa Vivisport e Coppa dei Campioni), a una domanda sui suoi rapporti con Crujiff, Di Lembo ha risposto con un sintomatico: “Johan who?”. La ferita è ancora aperta.
39 anni dopo ecco i torinesi tosti, guidati, guarda un po’, da Roberto Di Lembo. Altre stelle brillano nel firmamento dell’Acli: i gemelli Trombini con la loro catapulta infernale; il mancino Mazzoni, virtuoso della trequarti; l’ala Eboli detto il canarino Nero; Petrucci, il panzer; Mogliotti, Edward-piedi-di-forbice; Proietti, detto Legolas, per la precisione con cui sorprende i portieri avversari; Rapolla, il capitano di tante battaglie. E tutti gli altri.
39 anni dopo. Curiosamente, se si inverte la cifra, si ottiene 93: 9, come i gol segnati finora e 3, come quelli subiti. Se si somma, 9+3=12, come il numero del portiere di riserva. E poi 93 come i giorni che mancano a Natale. E se si moltiplica, 9x3= 27, come le volte che Nicola nomina Paro nei suoi discorsi. Infine 9:3=3. Come i titoli che il Taurinia può vincere quest’anno.
La storia, come la palla, non mente. Mai.

By OMAR Gattuso